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Writer's pictureAndrea Polverini

LA PLUSDOTAZIONE INTELLETTIVA

Updated: Jan 13, 2023


Durante lo scorso mese di settembre ho avuto l'occasione di essere invitato a partecipare a un incontro sulla plusdotazione intellettiva.


Il dibattito in questione fa parte di una serie di appuntamenti mensili che prendono il nome di "Autour de la table". Questi incontri sono organizzati da Karine Maurel, precettrice, "mental coach" in ambito sportivo e specializzata in soggetti ad alto potenziale cognitivo. A "Autour de la table" partecipano sia esperti che non esperti chiamati a dialogare su temi quotidiani relativi all'infanzia, alla famiglia, all'educazione, all'istruzione e ad altre problematiche che ne derivano.


Le altre due invitate che mi hanno accompagnato erano Béthanie Surget e Elena Pugin. Béthanie Surget è una coach diplomata in neuroscienze della motivazione e specialista in comunicazione relazionale. Anche Elena Pugin è una coach specializzata in neuroscienze e che lavora con una tipologia di studenti chiamati neuro-atipici.


Vi propongo qui di seguito il testo sul quale ho preparato il mio intervento. Alcuni dei concetti in esso contenuti li ritroverete anche all'interno del video dell'incontro che precede questo articolo.


La mia esperienza come insegnante in scuole di lingue con i bambini e la mia filosofia d’insegnamento.


Pur essendomi specializzato nell’insegnamento dell’inglese ad adulti, la tipologia delle scuole di lingue in cui mi sono trovato a lavorare sin dal 2004, mi ha spesso portato a lavorare principalmente con bambini e adolescenti.


La mia personale conclusione tratta da questa esperienza lavorativa è molto semplice. Ogni bambino ha un cervello unico, abilità in cui eccelle, un proprio stile di apprendimento e una propria motivazione. Se riusciamo a scoprire tali abilità, capire come valorizzarle e la sua motivazione, il processo di apprendimento può essere per il bambino un’esperienza proficua e produttiva. In caso contrario, potrebbe convertirsi in un insuccesso e in un ricordo negativo che si porterà dietro nel corso degli anni a venire e che potrebbe vanificare o rendere poco efficace ogni altro tentativo futuro.


Sto pensando a tutti gli adulti con i quali ho avuto occasione di lavorare e che, volendo riavvicinarsi all’apprendimento linguistico, mi dicono ancor prima di cominciare: “Le lingue non sono il mio forte!”


Questa affermazione è il ricordo di una o più esperienze negative avute in passato. A mio modo di vedere, le ragioni di un passato insuccesso possono essere molteplici e non devono per forza essere legate a una nostra carenza di abilità.


Come adulto, mi riconosco in tutti quei bambini che hanno avuto differenti tipi di difficoltà di apprendimento durante il periodo scolastico. Io stesso ci sono passato anche in campi legati a ciò che ora insegno.


Non parto quindi mai dal premessa che un alunno non possa imparare una delle lingue che insegno. È possibile, invece, che non abbia ancora trovato la motivazione che lo spinge ad apprendere o il modo che meglio si adatta alle sue capacità.



La mia esperienza con i bambini plusdotati. Il metodo utilizzato.


Circa un anno fa sono stato contattato da una mamma che era interessata a lezioni d’italiano per suo figlio.


Mi ha fatto sapere sin dal nostro primo incontro che si trattava di un “bambino plusdotato”.


Non posso né affermare, né escludere che alcuni dei bambini con cui ho lavorato in passato fossero anche loro dei plusdotati, e considero quindi questa come la mia prima esperienza di questo tipo.


Non sapendo praticamente niente sull’argomento, ho provato a sperimentare con differenti tipi di attività e stimoli durante le nostre sessioni per osservare le reazioni del mio giovane alunno.


Ecco cosa ho rilevato.


Adottare uno stile direttivo attraverso il quale fargli fare attività che ritenevo necessarie alla sua evoluzione linguistica non sortiva alcun effetto positivo, a meno che non si sentisse stimolato e interessato da ciò che gli proponevo.


Con l’italiano, questo non è stato un grosso ostacolo dato che non avevamo l’obbligo di seguire nessun programma scolastico o preparare nessun esame. L’italiano era un qualcosa che il bambino era motivato ad apprendere per ragioni sue.


Quando ho iniziato però ad aiutarlo con l’inglese, la situazione è stata ben diversa. Questa volta avevamo un testo scolastico da seguire e dei contenuti da assimilare. Per quanto il libro in questione fosse pensato per facilitare e rendere divertente l’apprendimento dell’inglese da parte di un bambino, il mio giovane alunno non sembrava sentirsi stimolato dal materiale che stavamo utilizzando. Questo si traduceva in continue distrazioni, rallentamenti dell’apprendimento fino ad arrivare, a volte, all’estremo di rifiutare di fare l’attività proposta e di non voler fare lezione d’inglese.


Mi sono inoltre reso conto che, non avendo la sua attenzione, era veramente difficile dire se una data attività fosse facile o difficile per lui e, in generale, verificare la sua conoscenza del tema trattato. A volte si rifiutava di fare un dato esercizio o faceva di tutto per interromperne l’esecuzione durante le nostre lezioni, per poi dimostrare in occasione di un importante esame scolastico di essere capace di farlo senza troppi sforzi.


Vorrei a questo punto aprire una parentesi.


A mio parere, per rendere l’apprendimento il più efficace possibile, questo dovrebbe essere legato alla felicità. Ciò è dimostrato anche da studi scientifici che legano la produzione di serotonina, conosciuta anche come l’ormone della felicità, a un aumento della velocità di apprendimento.


Tenendo in mente questo semplice principio, ho cercato di ricreare le condizioni per rendere l’ora d’inglese un’esperienza felice per il mio giovane alunno. Attingo quindi dai suoi interessi e da ciò che gli succede quotidianamente e, in questo contesto, cerco d’inserire i contenuti che dovrebbe assimilare secondo il suo programma scolastico.


Il suo libro viene utilizzato ma con estrema libertà e senza forzature. Quando lo utilizziamo, specialmente se noto scarso interesse e motivazione, cerco di risaltarne le ragioni. Ciò viene comunque fatto alternando gli esercizi con attività esterne al libro.


Dopo questa prima esperienza, ho avuto l’occasione di lavorare con una bambina, anche lei plusdotata, e di un anno più giovane del mio precedente alunno.


Il mio compito era di nuovo quello di aiutarla con l’inglese scolastico. Per fare ciò, ho pensato di seguire lo stesso metodo utilizzato con il mio precedente alunno. Questa volta mi sono però trovato di fronte a un’alunna con caratteristiche leggermente diverse. Molto silenziosa, tranquilla, poco aperta a farmi vedere ciò che la motivava a livello personale, ma disposta a lavorare su qualsiasi attività le fosse proposta.


Ho fondamentalmente utilizzato lo stesso sistema. Ho cercato di proporle attività di diverso tipo, in maniera tale da poter osservare le sue reazioni, capire cosa la motivava e conoscerla un po’ meglio.


Il libro è stato questa volta utilizzato con maggior frequenza. Ogni volta che notavo però un calo di attenzione o segno di stanchezza, le proponevo un’attività esterna al suo testo scolastico e che le permettesse di fare una pausa mentale.


Per concludere, ritengo che il ricercare la motivazione e creare un ambiente felice e rilassante dove apprendere, sia di fondamentale importanza per questa tipologia di alunni. Ad essere sincero, credo che sia di fondamentale importanza per qualsiasi tipo di alunno e a qualunque età.
















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